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La scuola che non riesce più a insegnare

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«La scuola sarà sempre meglio della merda» diceva Lucio che aveva 36 mucche nella stalla (da Lettera a una professoressa)

La scuola, un argomento sempre al centro dell’attenzione mediatica. Basti vedere a questo periodo di covid-19 in cui non facciamo altro che riempire telegiornali e quotidiani dell’incognita se i bambini e gli adolescenti a settembre rientreranno o meno. Ma una domanda voglio pormela. Siamo più preoccupati del fatto che i nostri figli ricevano un’adeguata istruzione oppure su come gestire una formazione a distanza conciliandola con il lavoro, la casa? Forse siamo più trasportati dalla seconda incognita, ma a mente fredda capiamo che è la prima preoccupazione quella che ci sta più a cuore.

Infatti a scuola si va per imparare, per apprendere nozioni, conoscenze, dati, fatti. Ma anche per imparare a stare in società, ad essere consapevoli quanto certe competenze trasversali siano fondamentali per vivere e per lavorare.

È di questi giorni il rapporto annuale dell’ISTAT che analizza anche il grado di istruzione degli italiani nel 2019. E i dati continuano ad essere, di anno in anno, sempre preoccupanti. Non tanto per la disparità (in negativo) con il resto dell’Europa, ma quanto l’incapacità tipicamente italiana di non saper offrire una linea politica e sociale coerente e contemporanea a favore della scuola e dell’università.

Un divario con l’Europa che si riduce con le età. I giovani italiani sono i più istruiti del resto della popolazione: dai 25 ai 34 anni il 76,2 % possiede un diploma di istruzione secondaria, nettamente superiore alla popolazione più senior dai 55 ai 64 anni, dove solo la metà (50,3%) lo possiede.

Un problema individuale, prima di tutto. Una scarsa istruzione comporta una carenza culturale forte che trova ampio sfogo nelle invettive sui social, nel dilagare delle fake news, nella convinzione che le proprie idee siano le sole ad essere valide, nella mancanza di approfondimento. Nella povertà culturale ci sta tutto quello di cui aver paura: il non saper rispondere al cambiamento, i problemi economici, la disoccupazione,  la precarietà, la falsa politica. Ma forse in linea generale ci fa più comodo allinearsi al sentore sociale generale piuttosto che darci da fare e approfondire.

E i dati dell’ISTAT ci sbattono in faccia tutto  questo.

Il problema si estende al sociale, quando solo il 5% dei quindicenni è in grado di comprendere un testo (secondo rapporto OCSE del 2019). Non ci spaventiamo poi se facciamo vincere le elezioni a politici incapaci, e ottimi comunicatori da bar. E lo stimolo a cambiare “politica” nella scuola ci è arrivata fin dagli anni ’60 da Don Lorenzo Milani e la Scuola di Barbiana. In Lettera a una professoressa c’è un compendio di tutto ciò che non andava nella scuola del periodo, che può essere riportato facilmente nella scuola di oggi, senza dover ricorrere troppo all’immaginazione.

Dicevano gli autori che

«La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde. […] A questo punto gli unici incompetenti di scuola siete voi che li perdete e non tornate a cercarli.».

Si riferivano ai maestri e professori della scuola dell’obbligo, ma anche al “sistema” scuola, lo stesso su cui nessun politico crea una campagna elettorale tantomeno azioni economiche a lungo raggio che possano garantire un minimo di investimento.

E quello della dispersione scolastica è un altro dato preoccupante ancora oggi. Dal 2006, anno cui il picco era del 20,8% la situazione è migliorata di parecchi punti percentuali, ma non ha ancora raggiunto l’obiettivo dettato dal programma Europa 2020, che prevede che la stessa percentuale scenda sotto il 10%. Nell’ultimo report del Miur  “La dispersione scolastica nell’a.s.2016-17 e nel passaggio all’a.s.2017-18 il tasso è del 14,5% dando all’Italia la quart’ultima posizione nella classifica europea dietro solo a Romania, Malta e Spagna.

E la bocciatura è uno dei principali elementi che favorisce questo abbandono. Sono il 13,7% i giovani obbligati a ripetere l’anno. Non entro nel merito se la pratica può essere ancora considerata giusta nel 2020, ma sicuramente non lo era per la scuola di Barbiana che vede nella bocciatura un avanzamento della classe sociale più ricca a discapito delle famiglie più povere. Povertà non solo economica, ma soprattutto culturale. E questa condizione continua a perdurare senza avere mai fine. Dice ancora il testo citato:

«Bocciare è come sparare in un cespuglio. Forse era un ragazzo, forse una lepre. Si vedrà a comodo.»

Anche la qualità dell’insegnamento è un argomento molto dibattuto, in primis dai sindacati che si devono destreggiare tra continue modifiche delle norme che regolano il reclutamento: classi di laurea, 24 crediti CFU da conseguire, abilitazione all’insegnamento e via dicendo. E ciò che ne risente maggiormente è proprio la qualità dell’insegnamento con segreterie didattiche obbligate a ricorrere a un reclutamento “selvaggio” e improvvisato ricorrendo alle messe a disposizione di giovanissimi (magari senza esperienza) e liberi professionisti alla ricerca di un’ulteriore esperienza per il cv. È incredibile come il corpo docente delle scuole superiori sia così variegato.

Concludo questa riflessione condividendo un fatto che mi ha lasciato con l’amaro in bocca. Nella mia esperienza di genitore mi è stato richiesto recentemente, dalla scuola di mia figlia, un aiuto per tinteggiare le pareti da rendere così il plesso più accogliente. Al di là delle questioni sulla qualità del lavoro, di cui non ho intenzione di parlare in questa sede, pensate se per usufruire di un servizio statale come l’ospedale, dovessi portare le lenzuola, rifarmi il letto e cucinarmi il pranzo. Inorridiremmo di fronte a un disservizio del genere. Eppure nella scuola ciò avviene tutti i giorni e continuiamo a far finta di non vedere.

È l’ora di riprendere in mano la scuola e offrire un panorama normativo e finanziario degno della missione a cui è chiamata. Come possiamo costruire una società migliore se non partiamo dalle basi? Il rischio è un imbarbarimento delle classi sociali e politiche capaci di creare solo, ancora di più, pochezza culturale e conflittualità tra persone diverse.

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