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La multipotenzialità come competenza da scoprire per valorizzare appieno noi stessi

Una parola che dovrebbe entrare nel tuo vocabolario personale è “multipotenzialità”, ovvero la capacità di spaziare su più campi di azione dando il proprio contributo sempre in maniera ottimale. I multipotenziali, infatti, sono persone che spaziano da un ambito all’altro con facilità e dove trovano nell’intersezione di più ambiti il loro valore straordinario.

Ho avuto modo di confrontarmi sull’argomento con Fabio Mercanti, esperto di questa (multi) caratteristica e autore del libro “Multipotenziali“.

Qual è la tua storia Fabio, chi sei? Che lavoro fai? Perché ti sei interessato alla multipotenzialità in modo da divenirne il massimo esperto in Italia?

Sono un ragazzo che ha intrapreso diversi percorsi formativi (dall’ambito turistico a quello editoriale) e professionali (libraio, impiegato, autore di libri, testi per il teatro e blogger). Anche io come molti ho visto il famoso Ted Talk di Emilie Wapnick e mi sono interessato alla multipotenzialità. Da quando il video del Ted si è diffuso in Italia, in molti hanno iniziato a parlarne: c’era chi sosteneva di essere un multipotenziale e chi diceva «la multipotenzialità è una gran cavolata». Sembrava che tutti avessero delle risposte sul tema. Ero stupito, perché io invece avevo solo un sacco di domande. E da queste domande sono nate idee, appunti, altre idee e quindi un libro e un blog.

Ho trovato molto interessante il tuo libro “Multipotenziali” perché ha dato una definizione di quello che affronto quasi quotidianamente con molti giovani che mi dicono di essere iperattivi e multitasking e vivono questa sensazione come un disagio. Come vivere questa multipotenzialità?

Quello tra multipotenzialità e multitasking è un accostamento frequente. Non a caso, chi è molto indaffarato e ha una giornata piena di tante attività che si sovrappongono, sostiene spesso di essere un multipotenziale. In realtà si tratta di concetti molto diversi, che ho approfondito nel mio blog.

La multipotenzialità è qualcosa di molto personale. Il modo migliore per viverla non è concentrarsi sulle attività in sé e sulla loro quantità, ma sul loro valore, equilibrandole per poter fare delle scelte utili a realizzarsi come multipotenziale.

Non si rischia di doversi occupare di molti, troppi aspetti senza un reale approfondimento di una sola materia?

Questa è forse la critica più frequente alla multipotenzialità e ai multipotenziali. Mi sono sempre chiesto, e lo chiedo anche ai tuoi lettori: dove è il rischio? Siamo sicuri che “il rischio della molteplicità” sia, per ogni persona, più gravoso di quello della specializzazione unica?

Nell’attuale scenario economico e professionale è impossibile indicare una soluzione sempre efficace. Non credo nelle generalizzazioni: la molteplicità dei percorsi non può essere per tutti, così come l’approfondimento di una sola materia.

E invece da un punto di vista aziendale, come credi che la multipotenzialità possa essere accolta dal mercato del lavoro? È semplice, secondo te, che un recruiter valorizzi questo aspetto in un candidato?

Non credo sia semplice. Soprattutto perché spesso si considerano solo alcune competenze di un candidato, quelle coerenti al profilo ricercato, perdendo di vista tutto il resto. Ma questo dipende molto dall’azienda stessa e dai suoi valori. Sicuramente un multipotenziale deve saper “connettere” la propria molteplicità con un contesto aziendale e professionale, spesso ancora prima di iniziare a lavorare. Ci sono settori in cui la multipotenzialità non ha una importanza rilevante, altri in cui può aiutare a fare la differenza come persona singola e come parte di un team e di una organizzazione.

Penso al settore editoriale, del quale, almeno in parte, mi occupo. In una casa editrice, un redattore deve avere sicuramente ottime competenze in ambito linguistico e saper usare bene alcuni software. Ma aver lavorato per alcuni anni in libreria è sicuramente molto utile per progettare al meglio un libro, dialogando anche con l’ufficio marketing. Quindi da una parte ci sono le competenze linguistiche e informatiche, da imparare davanti al pc, dall’altra quelle commerciali e distributive, apprese sul campo: tutto è necessario perché un professionista si differenzi da quello che vanta solo alcune competenze specifiche.

Come comunicare all’esterno questa multipotenzialità? Cosa è meglio che si scriva sul cv, sulla lettera di presentazione o sulle mini bio dei social?

Valorizzare un approccio multipotenziale significa anche imparare a comunicare la propria molteplicità in maniera razionale, costruendo una sintesi che evidenzi le connessioni tra le attività e le competenze utili nel prossimo lavoro. E bisogna iniziare a farlo sin da quando si scrive il cv. Non è affatto semplice, io mi sto esercitando: hai qualche consiglio?

Non mi concentrerei troppo sulle mini bio. In generale bisogna attirare l’attenzione, risultare interessanti comunicando ciò che siamo, a cosa stiamo lavorando e, magari, quale sarà il nostro prossimo passo. Questo riguarda tutti, quindi anche i multipotenziali. Invece è sicuramente più importante essere presenti sui social con una presentazione continua, ma non ripetitiva e sterile. Mi colpisce sempre come molti professionisti su LinkedIn diano il meglio di sé quando escono dai limiti del proprio lavoro e mettono in campo le tante parti della propria professionalità. Ecco, una presentazione di questo tipo è sicuramente qualcosa di molto utile per un multipotenziale.

Sulla base della tua esperienza e dello studio della multipotenzialità quale consiglio puoi dare ai giovani che non sanno di essere multipotenziali? Come scoprirlo e soprattutto valorizzarlo?

Essere multipotenziale non è né una caratteristica fisica né caratteriale. Si scopre la multipotenzialità quando ci si accorge di essere professionalmente vivi seguendo più percorsi e realizzandosi in questa molteplicità.

La valorizzazione passa attraverso l’equilibrio tra le attività formative e professionali e la scelta di queste (quindi cosa, come e quando). L’idea di qualcuno che studia un po’ di tutto e cambia continuamente lavoro non è certo un buon esempio di multipotenzialità.

Qual è il ruolo del talento in tutto questo? Nel tuo libro prendi in esempio Kafka come uno dei multipotenziali più famosi, una vita spesa a lavorare come assicuratore poi viene ricordato come scrittore per i suoi capolavori. Non potrebbe essere semplicemente che Kafka ha preso la strada sbagliata per poi accorgersi successivamente del suo vero talento?

Nel libro ho parlato di Kafka come esempio di chi accosta più professioni, una economicamente solida e l’altra che può rivelarsi di maggior valore nel tempo. È un esempio molto efficace, ma approfondendo ulteriormente la figura di Kafka mi sono accorto di qualcos’altro di molto importante. Kafka aveva talento come assicuratore ed era molto apprezzato dai suoi colleghi; nello stesso tempo aveva deciso di bruciare tutti i suoi scritti narrativi. Quindi Kafka non faceva l’assicuratore per avere di che vivere mentre lavorava per diventare uno scrittore di fama internazionale. Effettivamente, avrebbe potuto essere  l’uno o l’altro e il Kafka assicuratore, che molti conoscevano, ispirava in qualche modo il Kafka scrittore che oggi tutti conosciamo. Contestualizzando, ci accorgiamo quindi che non c’è una “strada sbagliata”, ma strade possibili in base a talenti, capacità e aspirazioni. Chiediamoci allora: quali strade scegliamo? Quali non coltiviamo?

Kafka era un multipotenziale? Non credo sia questa la domanda importante e, riguardo la multipotenzialità, sono contrario alle “attribuzioni retroattive” a figure illustri. Piuttosto dobbiamo chiederci: “Sono un ottimo impiegato? Ho anche talento per altro? Sento il bisogno di coltivarlo? Come?”.

Vincenzo Moretti, nel suo blog sul #lavorobenfatto, di cui invito i miei lettori a sottoscrivere il manifesto, parla del TOC, ovvero della relazione tra il Talento, l’Opportunità e il Contesto. Non credi che il contesto geografico, aziendale e di management sia una delle condizioni indispensabili per avere una corretta valutazione del multipotenziale nelle persone?

Assolutamente sì. Il contesto è determinante per valorizzare la multipotenzialità e realizzarsi come multipotenziale. Secondo me, oltre al contesto organizzativo e di management, è necessario tenere conto anche del contesto storico, culturale, sociale, economico e linguistico. Infatti, una delle prime domande che mi sono posto quando ho iniziato ad approfondire la multipotenzialità è stata: come possiamo comprendere questo concetto se non sappiamo da dove viene la parola “multipotenzialità”, a quale contesto semantico appartiene, quale effetto ha sui parlanti e come questi la usano (e potrebbero usarla)? E quindi cosa “multipotenzialità” può rappresentare e definire. Senza contesto non si costruisce dibattito, né cultura, né valore.

Sottoscrivo con piacere il Manifesto del lavoro ben fatto e mi unisco al tuo invito. Il blog di Vincenzo Moretti è davvero molto ricco e stimolante. Nel mio piccolo, anche io ho avuto modo di contribuire al blog con una personale definizione di multipotenzialità.

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