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Essere autentici, lavorare efficientemente e farlo bene: il personal branding secondo Cynthia Johnson

L’evento Lost in Sales organizzato da The Go To Market Company al Talent Garden Calabiana a Milano mi ha permesso di intervistare in anteprima l’ospite principale della giornata, Cynthia Johnson, imprenditrice, professionista del marketing, autrice e speaker californiana. È co-fondatrice e CEO di Bell + Ivy, un’agenzia di marketing digitale e personal branding di Santa Monica. Fondatrice di CynthiaLIVE è stata nominata tra i migliori esperti di personal branding nel 2017 da Entrepreneurtra i primi 50 marketer su SnapChat di Mashable e indicata tra le donne più influenti nel mondo degli affari da Tenfold Research. Il suo lavoro è stato presentato su Entrepreneur, Forbes, Huffington Post, TIME e su diverse altre pubblicazioni specifiche del settore. Ed è proprio sul personal branding che le ho rivolto qualche domanda:

 

Quali opportunità può offrire il Personal Branding a chi sta cercando lavoro oggi?

«Nel contesto professionale odierno, i datori di lavoro sono di fronte a una grande quantità di candidati qualificati che cercano di essere assunti e hanno il difficile compito di trovare la persona giusta. L’attività di Personal Branding e l’avere un brand personale non sono una nuova ideologia, sono termini propri nel contesto professionale e utilizzati recentemente nell’accezione di soddisfazione e realizzazione di sé. Se lo si analizza un brand personale contiene le preferenze, i messaggi e i valori di una persona. Se impacchettate tutto insieme per raccontare una storia, allora lì c’è il vostro brand. Se un lavoratore ha la chiara consapevolezza di chi è e di come ha creato il suo valore, è possibile tradurre questa attitudine positiva in quello che è in grado di fare per qualsiasi azienda. Questo inoltre, è ciò che rende evidente il suo profilo in una marea di curriculum. Siamo tutti qui cercando di condividere storie per raggiungere l’interesse di molti, non importa la tipologia dell’industria. Nelle parole di Jordan Belfort, “Vendimi questa penna”. Se riesci a comunicare un messaggio, un valore, nella forma più semplice e usando te stesso come esempio, mostri il tuo valore sia quantitativamente che qualitativamente

 

In alternativa, secondo lei, è ancora possibile avere successo e popolarità senza coinvolgersi con i social media e generalmente esporsi online?

«È possibile, ma è molto più difficile. Non si guadagna popolarità senza l’attenzione a un proprio pubblico di riferimento. E’ fondamentale conoscere come essi comunicano, dove sono soliti farlo e di che cosa stanno parlando. Il settore digitale è probabilmente pieno zeppo di contenuti, e talvolta, di contenuti poco utili. Laddove tu voglia avere una presenza significativa – dando enfasi al significato – devi svolgere le tue mansioni diligentemente per comprendere come influenzare i social media, per parlare con il tuo mercato di riferimento e guadagnare la sua fiducia. La fiducia è un elemento importante perché è difficile da ottenere e facile da perdere. Essere autentici, lavorare efficientemente e farlo bene

 

Quali saranno gli sviluppi del personal branding alla luce del rapido mutamento del mondo del lavoro e del mercato?

«Ottima domanda. A essere onesta, nessuno ancora conosce come il personal branding si svilupperà, ma ciò fa parte della bellezza dell’evoluzione dell’industria. Prendi l’evoluzione del curriculum, per esempio. Si dice che il curriculum sia nato nel momento in cui Leonardo Da Vinci ne scrisse uno come documento formale nel 1482. Questi documenti sono stati istituzionalizzati nei primi del ‘900 per introdurre al datore di lavoro un possibile lavoratore – una breve rassegna delle informazioni di un potenziale candidato che include dati personali, residenza, stato sociale e talvolta anche il peso. L’era digitale e il boom dei siti internet introduce facilmente la relazione tra recruiter e candidato e la possibilità di condividere video, link e contenuti originali per riuscire a convincere il datore di lavoro grazie alle competenze – essenzialmente, condividendo il proprio personal brand. I Career Portfolio (ndr: l’insieme di tutti gli strumenti per la ricerca lavoro: curriculum, cover letter, personal statement, ecc.) e l’uso dei social network, come LinkedIn, si sono manifestati per essere utilizzati come ulteriore garanzia per offrire supporto e prova delle capacità di una persona e persino per creare una comunità di professionisti. Il comune denominatore tra il documento originale di Da Vinci e l’uso multimediale che ne facciamo oggi, è l’utilizzo dello storytelling. Sono ansiosa di vedere nei prossimi decenni come si evolverà questa abilità e quali risorse avremo per moltiplicare ulteriormente la sua influenza.»

 

I giovani sono sommersi di messaggi e stimoli da più parti. Sono convinto che il personal branding dovrebbe diventare una materia di studio fin dalla scuola superiore soprattutto per favorire consapevolezza nell’uso degli strumenti digitali e divulgarne l’uso corretto. Qual è la sua opinione in merito?

«Il personal branding come disciplina è interessante perché se ci pensiamo, le persone che hanno un account sui social network stanno già iniziando a condividere il loro personal branding. Food accounts, travel vlogs, animal memes… è tutto un raccontare storie! Sarebbe utile rendere effettivo l’inserimento della materia nelle classi di età più piccola, innescando nelle menti più giovani il saper interagire con le persone e impararne i benefici di questa relazione – in modo particolare considerando che stanno crescendo in un’era digitale, il concetto di interazione sociale offline si sta perdendo e sta diventando un’abilità sottosviluppata. Ironia della sorte!»

 

A febbraio uscirà il suo nuovo libro Platform. Può svelarci qualche contenuto in anteprima?

«Platform: The Art and Science of Personal Branding, è una guida onesta e stimolante per navigare efficacemente nell’attuale panorama digitale usando il potere della narrazione e del marketing per moltiplicare l’influenza attraverso il proprio personal brand. Questo libro fornisce il “perché fare” e “come fare” per chi vuol intraprendere una bella carriera professionale, le persone che dovremmo ascoltare sugli argomenti in cui sono esperti, invece di permettere che teste parlanti e esperti improvvisati prendano in mano argomenti che non capiscono. Se stai cercando di diventare famoso, sfortunatamente questo libro non fa per te. Questo libro è per le persone che hanno qualcosa da dire e l’esperienza per sostenerlo. Ringrazio già da adesso tutti coloro che lo leggeranno. Mi piacerebbe poi sapere cosa ne pensano!»

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