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Il counseling come processo di crescita

Ho incontrato Vittorio Toschi, counselor professionista che opera in Toscana da qualche anno e con il quale dò avvio a questa nuova rubrica del blog, quella degli incontri, delle interviste, dello storytelling di esperienze professionali di successo.

Abbiamo dialogato insieme sul counseling, un’attività professionale di ascolto per certi versi simile al coaching ma che in realtà può avere una lettura molto diversa.

 

Vittorio, innanzitutto puoi darci una definizione del counseling?

Vorrei risponderti con una citazione di Assagioli, il fondatore della psicosintesi, «di solito nella vita ci si lascia vivere, mentre vivere è un’arte, dovrebbe essere la più grande delle arti belle». In questa frase mi sembra sia racchiusa l’essenza di tutto: un essere umano prima o poi si trova sempre di fronte alla scelta fondamentale, vivere o lasciarsi vivere? Lasciarsi vivere significa essere in balia delle correnti, vivere invece si lascia intendere come prendere il timone della nave della propria vita per realizzare i propri obiettivi. Questa è, per me, l’essenza del counseling: una professione di aiuto rivolta a chi, ad un certo punto della propria vita, decide di prendere il timone e di puntare decisamente le vele verso le scelte che ha deciso di fare e che lo rendono una persona più felice  e realizzata. Apparentemente questo è un approccio più faticoso di quello di lasciarsi vivere, ma anche di maggiore soddisfazione in quanto si tratta di prendere in mano la nostra vita. Lasciarsi vivere apparentemente può apparire una via meno impegnativa, ma pensiamo a quanto possa essere faticoso vivere una vita che non abbiamo scelto e che non ci piace. Ecco, Il counseling aiuta a scegliere, a essere autonomi, a utilizzare le proprie risorse e la propria volontà per realizzarci. Per ultimo ti dico che il counseling può essere sia un percorso individuale che di gruppo.

 

Talvolta si fa una grande confusione tra counseling e coaching, quali sono le differenze delle due discipline? Cosa offre l’uno di diverso all’altro?

Entrambe sono approcci di aiuto alla persona. Il coaching deriva dall’ambiente sportivo e in genere ha come riferimento un obiettivo chiaro e, preferibilmente, misurabile, mentre nel counseling si può partire anche da una situazione di incertezza, di confusione e attraverso il percorso arrivare a capire quali sono i reali e profondi desideri. Mi verrebbe da dire, forse con una semplificazione eccessiva, che nel counseling al centro dell’attenzione c’è la persona, mentre nel coaching al centro c’è l’obiettivo. Ovvio che in alcuni casi possono anche intersecarsi, in quanto chi realizza un obiettivo realizza anche un certo benessere. L’approccio del counseling è comunque sempre non direttivo e la prima parte del percorso può essere incentrata proprio sul fare luce sui reali obiettivi, mentre generalmente il coaching è più direttivo perché magari le idee di partenza sono più chiare.

 

Visto che è la persona ad essere al centro di un processo di crescita, quanto può essere efficace un percorso di counseling per la propria attività professionale?

Il counseling è un processo di crescita che passa attraverso la consapevolezza di se stessi, la scoperta di quelli che sono i bisogni reali e le nostre potenzialità, quindi direi che si tratta di un approccio di estremo aiuto nella nostra attività professionale. Solitamente, per esempio, scopriamo di possedere potenzialità superiori di quelle che crediamo di avere. In realtà non si tratta di imparare qualcosa, ma di essere più profondamente noi stessi. In un certo senso dobbiamo partire da un lavoro di pulizia, cioè dobbiamo togliere tutto quello che pensiamo di volere ma che in realtà serve solo a soddisfare le aspettative di chi ci sta vicino o farci sentire socialmente adeguati e vincenti. Alla fine di tutto questo lavoro di pulizia, rimane quello che vogliamo veramente, e anche se sembra un processo banale, non lo è, perché non siamo abituati ad ascoltarci in maniera profonda e sincera, oppure perché quello che vogliamo veramente può essere scomodo o faticoso da ottenere. Una volta capito quello che vogliamo veramente possiamo lavorare per far emergere le qualità e le energie che ci servono per raggiungere i nostri obiettivi.

 

Quindi è un processo di svelamento…

Sì, esatto. E’ un po’ come quando nelle prove attoriali si dice che si agisce per sottrazione, anche qui togliamo tutto ciò che non ci appartiene profondamente, e sveliamo ciò che ci è più caro, magari c’è sempre stato, ma è, come dire, seppellito. È un processo che si impara, e questa è la buona notizia, l’importante è che ci sia la reale voglia di farlo. Ti faccio un esempio banale, un lavoro che ti permetta di guadagnare molti soldi per tanti può essere di per sé allettante, e fin qui tutto sembra semplice, ma in realtà è importante capire perché lo si considera allettante. Perché socialmente viene considerata una posizione prestigiosa, oppure perché ci interessa veramente? Non c’è mai una scelta giusta o sbagliata in assoluto, l’importante è che la scelta sia coerente con il proprio benessere, che in fondo è quello che tutti noi cerchiamo, star bene con noi stessi e star bene con gli altri.

 

In relazione al cliente, per partecipare a questo processo, è importante la comunicazione, quali sono i canoni di un rapporto di counseling che permettano una facile comunicazione con il cliente?

Più che parlare di comunicazione parlerei di ascolto da parte del counsellor, un ascolto che viene definito ascolto attivo: vi è una profonda partecipazione da parte del counselor e il cliente si sente realmente ascoltato nel senso reale del termine, “io ascolto realmente i tuoi bisogni”. È un ascolto profondo, non solo del verbale, ma anche del paraverbale e del non verbale, è quindi un ascolto a 360° dell’altro. Inoltre è importante, come si diceva prima, che il counseling non sia direttivo. Prendiamo il classico esempio di un cliente viene dal counselor perché deve prendere una decisione lavorativa, accettare o meno un nuovo lavoro che avrà dei pro e dei contro. È naturale che il counsellor è una persona quindi potrebbe avere una propria idea in proposito: Io al tuo posto farei così, ecc… per me è importante che questo non entri nella relazione perché altrimenti si entra nel campo del consiglio. Non ho niente contro i consigli però la persona che deve fare questa scelta ne vivrà le conseguenze nella propria vita e quindi il processo di counseling favorisce l’emergere nel cliente di una propria decisione personale nell’ambito di un percorso di responsabilizzazione.

 

Quindi se c’è un ascolto c’è anche un rapporto di estrema fiducia. Come fa un counselor per trasferire e stimolare questa fiducia su di sé?

Innanzitutto il rapporto di counseling è un rapporto vincolato alla riservatezza e questo aspetto deve essere ben esplicitato affinché il cliente si senta libero di dire quello che vuole. Inoltre credo che la risposta alla tua domanda sia di essere profondamente autentici nel rapporto perché l’autenticità viene riconosciuta. Essere autentici ed essere trasparenti, quindi dire quello che si sente, quello che stiamo percependo e essere coerenti; non è necessario utilizzare troppe tecniche e se si utilizza dovremmo esplicitarla, condividere il percorso e verificare insieme se sta funzionando o meno e quali sono gli eventuali ostacoli. Credo che se l’altro, il cliente, ha una reale intenzione profonda di effettuare un cambiamento, il counselor diventa uno strumento efficace attraverso cui approfondire e permettere l’inizio e l’evoluzione del cambiamento.

 

Quali sono i problemi su cui le persone discutono di più durante gli incontri?

Per quanto mi riguarda mi occupo soprattutto di dinamiche in ambito lavorativo. In ogni caso le persone ricercano il benessere e quindi vengono per effettuare un cambiamento, per inserire nella loro vita un’abitudine funzionale o per eliminare un’abitudine disfunzionale. Oppure vengono per affrontare un problema relazionale in ambito lavorativo (capo, staff, colleghi dell’ufficio, clienti), quindi per cambiare relazioni che non funzionano e che provocano malessere. In altri casi i clienti portano un disagio, un momento di appannamento da superare, o una difficoltà di scelta da affrontare. Naturalmente nel cambiamento di una relazione non siamo dotati di bacchetta magica quindi la persona cambia se stesso, e questo è il nostro percorso e il nostro reale obiettivo, poi può accadere che cambiando se stessi possa avvenire un cambiamento anche nell’altro.

 

Il blog è seguito da un gruppo eterogeneo di lettori, dallo studente che si deve approcciare forse per la prima volta al lavoro, al professionista che per svariate ragioni decide di cambiare il proprio status professionale. Quale consiglio per entrambe le categorie?

Non sono in grado di dare un consiglio generale buono per tutti. Se, come la mia esperienza dice, le persone cercano quasi sempre un cambiamento, allora dico che bisogna crederci e avere fiducia nel cambiamento. In primo luogo, quindi, è importante capire se quel cambiamento che abbiamo individuato è veramente importante per noi, capire quali sono gli ostacoli e elaborare un vero piano del cambiamento. Certi cambiamenti importanti, infatti, non avvengono automaticamente, ma devono essere pianificati e necessitano di una verifica periodica. Tutto questo percorso non sempre è facile percorrerlo da soli perché il rischio è quello di “raccontarcela”, attività in cui in genere tutti noi siamo molto bravi. Nell’approccio del counseling a volte la cosa più difficile è capire quali sono gli obiettivi, perché spesso le persone vengono in uno stato di confusione. In questa fase è importantissimo non essere direttivi, perché quando una persona è confusa la prima cosa che fa è cercare la risposta negli altri.

 

Ci sono state molte critiche all’approccio in quanto si dice che si avvicina molto alla psicologia, dove sta la verità e soprattutto la differenza?

Le differenze ci sono e sono importanti. Anzitutto nel counseling non si lavora mai sulla parte malata della persona, ma si lavora sullo sviluppo delle potenzialità di una persona fondamentalmente sana. L’approccio del counseling è basato sul lavoro per obiettivi e non si devono superare gli 8/10 incontri, mentre tipicamente nella psicoterapia il percorso è più lungo e può durare anche anni. Nel counseling ovviamente non si utilizzano le tecniche della psicoterapia, nè si lavora sull’inconscio, ma si lavora solo con le energie e le qualità del cliente nel qui e ora, in relazione allo specifico tema che si decide di affrontare.  Mi sembra, quindi che i due approcci siano assai differenziati e facilmente distinguibili.

One thought on “Il counseling come processo di crescita

  1. Complimenti Vittorio queste tue risposte denotano tanta professionalità e sensibilità, ha studiato e lavorato tantissimo su di te. Io per uscire da quegli anni di buio
    Ho dovuto fare 7 anni di psicoterapia personale e di gruppo ho faticato molto ma alla fine qualche risultato l’ho ottenuto, te sei andato molto oltre, complimenti! Le risorse daltronde le hai sempre avute.

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